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Chiesa Rossa, Milan. A strong sense of proximity

In Milan, there are more than 50 farms owned by the Municipality. Chiesa Rossa is part of this system of urban farms. A few years ago, some important regeneration policies have added a library, open public spaces, an orchard and vegetable gardens to this monumental complex. Chiesa Rossa is also a social housing neighborhood. The houses were built in the first Sixties. The renovation of Chiesa Rossahas produced social ties and feelings of belonging to the place that are becoming increasingly strong, as the image of the whole city is becoming increasingly less important. The parish is also important. A strong sense of proximity is felt everywhere and it is guaranteed by the presence of a dense and well articulated associative network, by the symbolic strength of the Public protection (the Library, The Ringhiera Theatre), by the authority of the parish. It is here evident the will to affirm a strong right to live together.

Chiesa Rossa, Milano

Il complesso di Chiesa Rossa fa parte del sistema delle cascine milanesi di proprietà comunale: una sessantina di realtà riscoperte negli ultimi tempi come sorta di capisaldi di una strutturazione civica di base del territorio milanese, dopo che lo sono stati di quella materiale, agricola. Di antica fondazione, Chiesa Rossa è sempre stata il centro della vita sociale del territorio. Nel 2006 il  progetto promosso dal Settore Periferie del comune di Milano costituisce la fase conclusiva di una lunga opera di riqualificazione del complesso monumentale della cascina includendo, oltre alla biblioteca, la realizzazioni di spazi pubblici aperti, di un “frutteto labirinto” e orti urbani (eliminati in seguito all’accertamento di inquinamento nei terreni). Chiesa Rossa è anche un quartiere costruito nella prima metà degli anni 60 e come tale fa parte di un diverso sistema, quello di un corridoio di transito e di accesso alla città, lungo la via dei Missaglia, composto da una sequenza di interventi di edilizia pubblica (tra i più rilevanti della città dal punto di vista dimensionale), pensati originariamente come quartieri autosufficienti: una conurbazione lineare stretta dal parco agricolo sud, sostenuta da importanti infrastrutture di mobilità, che costituisce una sorta di ponte tra la città compatta a nord e i centri di corona posizionati al di là della tangenziale a sud: è la città degli anni 60-70.

Intorno al complesso della cascina stanno edifici di edilizia sociale con una popolazione in buona parte anziana che invecchiando si sente più povera, più incerta, meno sicura, ma ancora fondamentalmente autonoma. Il recupero del complesso di Chiesa Rossa è giudicato un episodio importante nella direzione della riappropriazione da parte degli abitanti di un senso di appartenenza. Che è innanzitutto appartenenza al quartiere, qualcosa che diventa via via più importante man mano che si offusca (o si complica) l’immagine complessiva di Milano. Qui sembra permanere un tema forte di prossimità: il quartiere conta e conta ancora fortemente la parrocchia, ambito di impegno fattivo e concreto. Così che si sommano un tessuto associativo fitto, rivendicativo e bene articolato, la forza simbolica di presidi civici (la Biblioteca  o il vicino il Teatro Ringhiera), l’autorevolezza della parrocchia. Sono soprattutto le parrocchie, motore e forza trainante del welfare, a pesare: uno tra i luoghi di incontro paradossalmente meno contemporanei, capace di convogliare il volontariato sociale degli anziani («chi gestisce il bar della parrocchia non esercita alcun potere, ma finisce per conseguire un bene prezioso, quale la riconoscibilità sociale» ( Intervista riportata da Stefano Carrubba, Il cuore in mano. Viaggio in una Milano che cambia (ma non lo sa), Longanesi, Milano, 2012, p. 126.). La solidarietà delle parrocchie è robusta; l’incontro è ben strutturato, nelle forme e nei luoghi: qualcosa che molto poco ha a che fare con il proliferare di segni religiosi che puntuano androni e giardini dei complessi di edilizia pubblica. Le madonnine nei cortili, a Milano, come a Torino, hanno un significato completamente diverso.

Quel che si coglie bene in questa parte della periferia stretta tra le penetranti del parco sud e segnata dalle torri bianche del Gratosoglio, è la volontà di affermare (con le associazioni, i gruppi rivendicativi, quelli religiosi) un diritto a stare assieme robusto: un modo di vivere la città come luogo di socialità, di consumo, di partecipazione civica. Guardando a questi territori così duramente costruiti su una prospettive dualistica tra ciò che è di tutti e ciò che è di ciascuno, si comprende bene la complementarietà delle due condizioni. Come queste siano l’una il prolungamento dell’altra. La trasformazione di percorsi biografici e stili di vita della popolazione che si è insediata qui negli anni 70 (ed è oggi in parte sostituita), ha messo in crisi la strutturazione dura, separata, del privato. Così come hanno fatto le trasformazioni dei modi del lavoro, del muoversi, della dimensione civico-politico per il pubblico. Entro questa distinzione in movimento, gli spazi di condivisione (qui costruiti principalmente dalle associazioni) rappresentano una condizione cruciale.

Guardare agli spazi della condivisione aiuta a decostruire storie troppo lineari di Chiesa Rossa come della città intera. Storie rassicuranti e progressive: l’uso, l’abbandono, la deindustrializzazione, la rigenerazione. La condivisione segna piccoli scarti, anomalie, condizioni che ci sorprendono perché interrompono il luogo comune della progressiva valorizzazione o del degrado inarrestabile: segnano brusche variazioni di valore dello spazio urbano; conferiscono centralità a spazi ritenuti altrimenti comuni: un tratto di strada chiuso alle macchine da pesanti fioriere, un giardino o un tetto resi accessibili. Ciò che si frantuma è la trama uniforme del disegno di suolo alla quale una importante tradizione urbanistica ha affidato il compito di rappresentare per intero la città. E’ la lucida comprensione di queste piccole variazioni che ci permette di apprezzare il senso complessivo delle trasformazioni.

A Chiesa Rossa i territori della condivisione suggeriscono ancora qualcosa di più preciso. Il variare di valore non tocca necessariamente le parti di città più ambite, né quelle più degradate. Tocca la città dei ceti medi. Osservare la condivisione in questi luoghi non significa fermarsi al ruolo del comitato, del mercato, della comune o del condominio. Ma provare a rintracciare i diversi modi con i quali lo spazio oggi acquista o perde valore. Un valore innanzitutto simbolico e relazionale. Ma anche un valore economico, entro una crisi profonda che sembra ridisegnare profondamente la struttura dei rapporti tra città, economia e società.

 Cristina Bianchetti

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